Mercoledì
3 febbraio 2016
ore
20,30
Sala
consiliare del Comune di Avigliana
P.zza
Conte Rosso 7
”Il
caso Ungheria:
un
ritorno all'Europa etnica?”
Dott.
Claudio Vercelli
Ricercatore
Istituto Salvemini
Mentre
i processi di unificazione politica nell’area continentale
arrancano, in un’Europa alle prese con una profonda trasformazione,
che ne sta mutando la fisionomia sociale ed economica, l’Ungheria
del premier Viktor Orbán, al potere dal 2010, parrebbe
rilanciare l’ipotesi di una soluzione autoritaria ai problemi che
il Paese sta vivendo dai tempi della transizione dal regime comunista
ad oggi. Dal primo gennaio del 2012, infatti, una nuova Costituzione,
con un impianto chiaramente nazionalista e a tratti illiberale, è
entrata in vigore. Le limitazioni alla libertà di stampa si
sono susseguite nel corso del tempo, così come le restrizioni
al Codice del lavoro. Più in generale, l’intera sfera dei
diritti civili e sociali è sottoposta ad una costante
pressione, con l’obiettivo di ridefinirne contenuti in chiave
fortemente conservatrice. Il dissenso sempre più spesso è
additato come elemento di sovversione non solo degli ordinamenti
costituiti ma anche dell’interesse pubblico. Minacce, neanche
troppo velate, si accompagnano a campagne che esaltano un consenso
acritico alle tesi imposte dalle autorità. Non di meno i
partiti di governo godono di un buon seguito elettorale e di un
diffuso consenso. Restrizioni all’autonomia individuale si
accompagnano alle rivendicazione di una identità nazionale
rielaborata in chiave etnica. I rimandi all’orgoglio
nazionalistico, al patriottismo, alla fedeltà verso una
“comunità di omologhi”, alle “radici” e all’”identità”
magiara, al cristianesimo come fondamento di un’unione di identici,
sono stati ripetutamente proposti come la risposta alle perturbazioni
e agli scompensi che i processi di globalizzazione hanno introdotto e
rinnovato anche tra gli ungheresi. In tutto ciò, l’idea di
“Nazione magiara” viene presentata dalla leadership politica come
l’alternativa ad un’Unione europea il cui fallimento è
vissuto da molti in quanto non solo probabile ma addirittura
auspicabile. Il fondamento etnicista di tali costrutti, la visione
regressiva delle relazioni sociali e dello statuto dell’individuo,
quest’ultimo ricondotto ad essere parte di un organismo – la
“nazione” – di impianto per più aspetti quasi
totalitario, il ritorno di un razzismo diffuso, in nessun modo
contrastato dalle autorità, le pressioni contro le minoranze
così come il vagheggiamento nostalgico dei fasti del vecchio
Impero austroungarico, sono quindi parti di un percorso
dove i fantasmi del passato, fondati sulla “comunione di stirpe”,
riprendono vigore nel nostro Continente? La vicenda ungherese, sia
pure nella sua specificità, ci racconta di un malessere assai
più ampio, al quale le classi dirigenti europee non sanno, né
forse intendono, dare risposta. All’Europa delle “piccole
patrie”, composta di micronazionalismi, così come alle
comunità immaginarie di “razza”, cosa dobbiamo pertanto
rispondere? Una riflessione al riguardo può risultare utile
per meglio capire quali siano gli spazi che rimangono a democrazie
sociali sempre più in affanno.
Claudio
Vercelli
Mercoledì 3 febbraio Claudio Vercelli ha affrontato con grande passione e lucidità la complessa e non così nota situazione della Ungheria, guidata dal 2010 da Viktor Orban leader di Fidesz, un partito conservatore, ipernazionalista e autoritario, cresciuto sulle ceneri del fallimento dei precedenti governi socialisti che avevano gestito la transizione dal passato regime all’ingresso nell’Unione Europea.
RispondiEliminaLa risposta di Orban ai bisogni degli ungheresi impoveriti dall’intreccio delle politiche liberiste con crisi economica, secondo il relatore, è stata, in prima battuta, prevalentemente mitologica.
Ad una popolazione, poco educata alla prospettiva dei diritti, in affanno di far fronte al mercato globale e a una disoccupazione crescente Orban ha offerto:
- un’idea di appartenenza alla comunità magiara, ben più ampia, dopo il trattato di Trianon del 1920, della attuale Ungheria. Orban ha lanciato un richiamo revanscista che rischia di destabilizzare un’area fragile, contravvenendo alla lettera e allo spirito dell’Unione Europea, nata dopo le carneficine delle due guerre mondiali proprio per mettere fine ai pericoli dei nazionalismi
- una prospettiva plasmata dall’idea della lotta al nemico esterno, intravisto nell’Unione Europea, nella Trojka, nei complotti internazionali della finanza, nei migranti e al nemico interno, incarnato nella comunità Rom, ma anche da tutti coloro che di volta in volta sono identificati con dei parassiti che succhiano le risorse del popolo.
Il consenso di Orban si spiega anche a partire dal fallimento dei precedenti governi socialisti che non hanno saputo intercettare i bisogni profondi del paese e soprattutto del proletariato urbano, recentemente inurbato, e delle campagne.
Ritorna dunque anche in questa occasione il problema di élites progressiste, cosmopolite, ma autoreferenziali, convinte di parlare al mondo, mentre spesso parlano a se stesse.
Se è vero che Orban è riuscito a intercettare il consenso parlando il linguaggio caldo del mito, contro il linguaggio delle circolari e dei protocolli, i progressisti dovrebbero imparare a costruire, oltre ai necessari progetti credibili per un’azione di governo, linguaggi accoglienti e forse anche nuovi miti e buone pratiche all’altezza delle sfide future. Certamente uno dei problemi dell’Europa sta anche e ovviamente non solo, nel fatto che non ha saputo scaldare i cuori e costruire un’ idea di cittadinanza europea, unico antidoto alla balcanizzazione e al ritorno delle guerra in Europa.
Una serata dunque questa dedicata all’Ungheria, ma non solo. Il modello ungherese è un caso perché rappresenta una opzione che purtroppo incombe sulla Europa in un momento di grande fragilità economica e di discredito delle istituzione europee accompagnata dalla ripresa del consenso ai partiti di destra anche estrema.