giovedì 26 febbraio 2015


Mercoledì 4 marzo alle ore 20,30
nella Sala consiliare del Comune di Avigliana
(p.zza Conte Rosso 7)

"Arte – scienza – sostenibilità"
 
V.Kandinsky, Composizione IV, 1911

incontro con la
Prof.ssa Alice Benessia
Ricercatrice presso l'Università di Aosta

 
In questo intervento propongo alcune riflessioni su un paesaggio astratto e complesso all’interno del quale siamo chiamati a convivere oggi: quello che è definito dalla nostra modalità di intendere, esperire e misurare lo spazio e il tempo.

Tale paesaggio dipende in modo essenziale dalla potenza – ovvero dall’energia per unità di tempo - che abbiamo a disposizione e può essere esplorato a partire da diverse prospettive, lungo direzioni distinte: quella delle scienze fisiche e naturali, quella economica, politica e sociale della tecnoscienza contemporanea, e quella della pratica artistica.

Addentrarci in tale paesaggio sarà l’occasione per mettere in luce la rilevanza e l’utilità non solo del dialogo tra diverse discipline, modalità di ricerca ed esperienza, ma anche e soprattutto di una loro possibile integrazione, in grado di trascenderne la specificità al servizio di nuovi saperi, fondamentali per il nostro delicato presente.

                                                                     La relatrice
 

2 commenti:

  1. La relazione della Prof.ssa Alice Benessia ci ha introdotto nei territori di quella che viene definita scienza post-normale.
    La scienza normale, di cui ha parlato Kuhn ne “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” risulta insufficiente ed attende di essere integrata per affrontare la sfida della complessità in cui sono collocati molti dei fenomeni in cui siamo coinvolti, attinenti ad esempio alla meteorologia, all’ecologia, alla termodinamica che sono lontani dallo stato di equilibrio.
    L’epistemologia della complessità nasce dalla messa in discussione della capacità del paradigma classico della scienza moderna di comprendere adeguatamente i sistemi complessi in cui le interazioni sono molteplici, il rapporto causa/effetto non è lineare e i soggetti che indagano, a loro volta portatori di interessi conflittuali, talvolta anche del tutto legittimi, non sono così nettamente separabili dai fenomeni indagati.
    La sfida secondo la prospettiva della Prof.ssa Benessia necessita dell’integrazione di una pluralità di saperi (tema questo affrontato anche dall’Ing. Giovanni Colombo) orientati non esclusivamente verso il conseguimento della verità in senso forte, a cui per altro la scienza sembra aver rinunciato, ma nella direzione della messa in opera di strategie ispirate al principio di precauzione in modo da non mettere a rischio il fragile equilibrio tra l’uomo e la natura.
    Purtroppo non abbiamo avuto la possibilità di affrontare adeguatamente l’ampio tema oggetto della conferenza e gli interessanti spunti emersi dal dibattito.
    Rimane ampiamente inevasa la questione del rapporto tra arte e scienza, così come la questione relativa ai soggetti titolati alla scelta in campo tecnologico/scientifico e lo statuto della relazione tra potere economico/politico e ricerca scientifica.
    Avremo certamente altre occasioni per affrontare adeguatamente i temi emersi.

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  2. Nel concordare con Massima nel rammarico di non aver potuto, nel ristretto spazio di una serata, entrare più di tanto nel merito delle molte problematiche collegate al tema trattato dalla Prof.ssa Benessia, e nell’auspicio di poterle recuperare nei nostri dibattiti futuri, partendo in particolare dalla preziosa prospettiva offerta dall’occhio dell’arte, ritengo già in questo primo commento di dover operare un mio personale distinguo. Ritengo infatti che il cuore del problema non stia più di tanto nella necessità di definire una nuova metodologia scientifica, sia che venga vista nell’ottica della “scienza post normale” sia che venga declinata in quella di un approccio più interdisciplinare. Così come non credo che il ricorso al principio ispiratore della “precauzione” sia risposta sufficiente alle domande poste dal crescente, in modo sempre più drammatico, disequilibrio fra uomo e natura (faccio mie le parole usate da Massima). Non ho elementi per capire quanto sia vera la vocazione attuale della scienza alla rinuncia del vero assoluto, alcune impressioni ricavate da letture varie mi portano a dubitare che si stia davvero andando in questa direzione. Credo che la ricerca scientifica e l’innata curiosità umana a trovare sempre nuove e più convincenti risposte ed a esplorare nuovi territori del sapere siano tendenze insopprimibili. L’uomo si è sempre mosso così e sempre così si muoverà. E’ nella sua natura. Credo inoltre che se si valuta questa innata tendenza su un arco temporale “lungo” ci si può rendere conto di una netta cesura avvenuta con la Rivoluzione Industriale. In tutta la storia precedente il rapporto tra scienza e “potere” è sempre stato contraddittorio, quando non conflittuale. Persino ovvio citare Galileo come esempio lampante di una scienza messa a tacere perché “disturbante” il potere. Banalizzando un poco si può dire che è dal 1800 almeno che non è più così, il “potere”, soprattutto quello economico, ha fatto pace con la scienza. Oggi essa è molto più libera di agire, di muoversi con coordinate proprie, quando addirittura non viene sostenuta in modo decisivo dal “potere”. Si pensi a chi sostiene, ed indirizza, la ricerca in campo medico, oppure, esempio molto più nobile ma non sul piano delle ricadute ultime, a chi sostiene, con investimenti ingentissimi, la ricerca spaziale piuttosto che il CERN di Ginevra. Come spiegare questa svolta? Sempre banalizzando non poco credo si possa dire che il “potere” guarda con occhi diversi la scienza da quando ha capito che i risultati da essa raggiunti possono essere tradotti in tecnologie, in scienza applicata, in prodotti e servizi, in “attività di mercato”, cioè in “merce”. La scienza, controllata e sfruttata dal potere economico, ha contribuito, senza volerlo (nella stragrande maggioranza dei casi), a portare il pianeta e l’umanità sulla soglia di molti punti di non ritorno, a creare quella presunzione di onnipotenza umana sulla natura, sul pianeta intero, alla base di quel disequilibrio di cui si è detto prima. Chiudo qui, lo spazio di un commento è crudele, questa mia perplessità, dicendo che non solo di “scienza post normale”, non tanto di “interdisciplinarietà” e di “precauzione”, si deve allora parlare, ma di rottura radicale dell’attuale rapporto tra scienza e potere. Per tentare di risolvere questo disequilibrio, non credo sia sufficiente invocare più scienza, passaggio del suo comunque indispensabile (sottolineato non a caso), se non si spezzano le catene che la legano agli interessi.

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